Venerdì è stata una giornata particolare, e non solo perchè finalmente si è tornato a respirare e di conseguenza a dormire la notte (senza ancoraggio al ventilatore).
Venerdì mattina ho presentato un progetto a cui partecipo davanti a un centinaio di colleghi del dipartimento in cui lavoro, e le cose non sono andate esattamente come avrei voluto. Ma partiamo da principio.
A inizio settimana scopro quasi per caso che il venerdì seguente avrei dovuto presentare in questo “mega-meeting”: dieci minuti per esporre questo nuovo progetto.
Ok, niente panico, è un progetto che seguo con passione e che conosco a menadito. Non c’è il rischio di domande scomode, semmai la necessità di presentarlo “sponsorizzandolo” in maniera interessante. Il fine della presentazione non è esaminare il progetto, ma farlo conoscere.
Un po’ per il caldo e un po’ per la stanchezza, arriva mercoledì e ancora devo metter consapevolmente mano al tutto. So dove andrò a parare, e so di “avere tempo”.
Mercoledì pomeriggio metto insieme le slides in men che non si dica. Meno di quindici minuti per rivederle con i colleghi e stop, presentazione pronta.
Cosa troverai in questo articolo
Come fare un discorso efficace senza essere prolissi
Ora manca il discorso: ma la giornata è stata troppo stancante per pensarci, e quella dopo lo sarà ancor di più.
Improvvisare?
Magari, ma non è una delle mie doti. Manco naturalmente del dono della sintesi, soprattutto quando sono sotto pressione o provo ad andare a braccio per seguire “il flow”.
No, so bene che devo scrivermi qualcosa da poi ripetere e studiare, augurandomi di sembrare naturale.
E’ la mia prassi.
Quindi, ormai giovedì pomeriggio inoltrato, inizio a scrivere due robe che facciano da ancoraggio al mio discorso.
Ore diciotto di giovedì e una paginetta di Word è pronta a fare da struttura portante al discorso di domani. Resta la fatica finale: ripetere, ripetere e ripetere.
Se sei anche tu una persona prolissa sai quanto avere una traccia scritta sia essenziale per provare a limitare le nostre lungaggini sintattiche.
E’ snervante provare a essere brevi, chiari ed efficaci e non riuscirci: è più forte di noi rimarcare, descrivere, argomentare l’ovvio magari perdendo anche il filo del discorso.
Se non sei uno brief, ripetere all’infinito è l’unico modo per migliorare l’esposizione e cercare di “tagliare”.
L’ancoraggio del castello mentale
A valle di un dopolavoro con i colleghi si torna a casa, e inizia l’esercizio della ripetizione: mi dico “ok, ce la dovrei fare con facilità, ho scritto una traccia, la rileggo un po’ di volte ed è fatta“.
Inizio a ripetere carica di speranze e invece niente: l’incipit “a effetto” non mi si mette proprio in testa. Non che fosse complicato, ma hai presente quando per un mix di stanchezza e altro non ti resta proprio in mente neanche una frase banale?
Ecco, era questo il caso.
Mi blocco, fatico, non ricordo le tre parole che vorrei dire per provare ad attirare la platea.
Così mi viene il lampo di genio: “sai mai che sia la volta buona di scomodare i castelli mentali?“
Qualora non la conoscessi, la tecnica del castello mentale consiste nel creare delle scene nella nostra testa, delle vere e proprie storie connesse al discorso che vogliamo fare, che ci aiutino per associazione a ricordarlo meglio. Come dire: un ancoraggio voluto.
Faccio un esempio reale, ovvero quello che ho ho elaborato nella mia mente pre ricordare un passaggio del discorso più o meno simile a questo seguente:
“..in questo modo è nato il progetto, per cercare tra voi colleghi delle idee innovative e dare voce alla creatività in un ambiente stimolante”
Nella mia mente ho immaginato un bambino piccolo (il progetto nato) che cerca la mamma tra delle persone (i colleghi) e la trova: lei tiene in mano una lampadina col prezzo ancora attaccato (idee nuove, innovative), e inizia a cantare (dare voce) guardando fuori da una finestra dove c’è una bel panorama naturale (quello che per me è un ambiente stimolante).
Ok ok, se stai sgranando gli occhi iniziando a dubitare della mia sanità mentale non posso darti torto! Ma considera che il castello mentale è personale e ogni ancoraggio che facciamo è strettamente legato alle nostre percezioni.
Un “ambiente stimolante” per me è un prato con degli alberi, per qualcun altro potrebbe essere una sala giochi o una discoteca. L’importante è che trovare degli ancoraggi che siano sensati per noi e che ci aiutino a creare una storia che abbia un filo logico e che non faticheremo a seguire.
Certo, non è semplice e non è immediato, ma è un metodo che si rivela molto utile per tenere a mente le cose o gli eventi in un determinato ordine, come può richiedere fare un discorso senza ausilio scritto.
Persa la mia oretta serale a creare castelli mentali e a ripetere il discorso, mentre in contemporanea mettevo su un risotto friggitelli e datterini per il pranzo del giorno seguente, chiudo tutto e mi metto a letto abbastanza soddisfatta.
Il castello mentale mi ha aiutato: a forza di ripetere ho tagliato via il grosso del superfluo, cronometrandomi riesco a stare ampiamente nei dieci minuti anche cercando di avere un velocità contenuta, e il filo logico mentale mi da una certa sicurezza. Posso andare a dormire serena.
Devo riconoscere, una volta tanto senza sindrome dell’impostore, che sono soddisfatta: non mi hanno mai fatto paura i palcoscenici, ma non per questo ho mai lesinato in preparazione proprio a causa della parlantina troppo veloce e prolissa.
Stavolta, invece, ho impiegato davvero poco a prepararmi rispetto al solito e sento di essere stata efficace: sono pronta per presentare all’indomani.
L’ancoraggio allo specchio
Venerdì mattina arrrviva e mi sveglio presto assieme alla sveglia di Francesco. Ne approfitto per ripetere un paio di volte la presentazione, stavolta davanti allo specchio: guardarsi aiuta a capire se abbiamo una faccia convincente e se facciamo espressioni strane o gesticoliamo troppo o troppo poco.
Noto con piacere che la notte non ha intaccato i riusultati della sera prima, così mi preparo e vado al lavoro.
La riunione inizia, sono serena e tranquilla, la mia presentazione sarà l’ultima. Come accade spesso i tempi si allungano, e quando si arriva al mio punto e mi alzo per avvicinarmi agli schermi mi dicono “Marta siamo stretti coi tempi: la presentazione puoi farla stare in cinque minuti?”
Dirai: beh, era immaginabile. Era altamente probabile. Avevi visto che erano in ritardo, avresi dovuto immaginarlo.
E invece no, non ci avevo proprio pensato, o la mia mente non aveva voluto farlo dato che l’intero processo, iniziato giorni prima, si era targettato sul doppio del tempo.
Perchè restiamo vittime dei bias
Alla fine, presa alla sprovvista, mi sono fatta persuadere da quelle parole: “stai in cinque minuti” .
Quindi cosa ho fatto?
Nell’ordine:
- ho iniziato ad accellerare
- mi sono scordaata del mio fantasticol castello mentale per i primi dieci secondi, ovvero quelli fatidici per cui avevio deciso di costruire il castello
- ho provato ad adare a braccio per recuperare
- sono caduta vittima dei miei bias
Il primo minuto è andato così: male!
Pian piano nel seguito ho ripreso il filo, ma sempre con un tono accelerato e leggermente concitato che non avrei voluto avere.
Riflettendoci dopo, a mente fredda, ho capito il mio limite: mi ero fatta influenzare dall’ancoraggio dei cinque minuti. Quel cambio di programma aveva generato un’escalation di pensieri concitati:
- devo esser breve
- ma il mio discorso dura 9 minuti, quindi devo anche accelerare
- devo tagliare da qualche parte
- da dov’è che dovevo cominciare?
Il mio sistema 1 aveva avuto la meglio, perchè se solo quel lentone del sistema 2 fosse stato più reattivo avrei razionevolmente dovuto pensare:
“ok. Io inizio, con i miei tempi e la mia velocità, e pian piano andando avanti cerco di tagliare. E se non ci riesco, pazienza: infondo se sono andati lunghi tutti, chi sono io per docer recuperare tutti i tempi?”
Dirò una cosa che sembra ovvia (ma non lo è): il grosso delle persone sono calibrate per ritenere che, in situazioni normali, quello che ci viene detto sia a prescindere giusto, vero, o da seguire. A volte, invece, dovremmo prendere esempio dai “bastian contrari” che mettono tutto in discussione a prescindere, che sia giusto o meno.
E seconda e ultime conclusione di questo articolo anomalo della domenica: puoi leggere, studiare e anche provare a scrivere di bias (il libretto, il libretto! Link in basso).
Ma capiterà sempre l’occasione in cui te ne farai influenzare come una broccola!