Perchè la great resignation è solo l’inizio
Dopo due anni di pandemia il paradigma lavorativo è cambiato: in nome della YOLO, you only live once di cui avevamo parlato mesi fa, molte persone stanno abbandonando il loro posto di lavoro per trovare condizioni di work-life balance migliori o, in una minoranza di casi, per intraprendere qualcosa di proprio.
A livello nazionale gli impatti si vedono in diversi ambiti: come riporta questo interessante articolo del Corriere, dopo una prima apparente insensibilità, nel 2022 l’Italia non è rimasta indenne all great resignation. In Lombardia ci sono state più di 400 mila dimissioni volontarie nel 2021, quasi il 10% della forza lavoro della regione, e il Veneto fa eco con una percentuale di dimissioni superiore del 50% rispetto all’anno precedente.
Gli effetti della great resignation sul lavoro
A questi si aggiungono le difficoltà esternate da molti gestori nel trovare manodopera disposta a coprire ruoli operativi a carattere stagionale: baristi, cuochi, camerieri.
Senza voler entrare nello sterile merito delle polemiche, il passaggio è chiaro: che si tratti di giovani o meno giovani, le persone non sono più disposte a ascarrificare completamente il loro benessere per il lavoro. Questo sentiment sta accomunando un numero sempre crescente di persone: laddove qualche anno fa, se si licenziava un cameriere c’era la fila per prendere il suo posto, oggi serbra che in molti casi ci sia il vuoto.
Sentinella ancor maggiore è stata la notizia di qualche giorno fa dei concorsi per la pubblica amministrazione andati quasi deserti o con un numero importante di rinunciatari, soprattutto se si trattava di vinvite di posti di lavoro nel nord Italia. La mnotivazione? L’indisponibilità a spostarsi , soprattutto a parità di stipendio rispetto ai vincitori nel Sud, in luoghi con un costo della vita molto più alto, forse troppo da giustificare uno spostamenteo.
Anni fa, solo forse fino a un paio di anni fa una situazione del genere sarebbe stata impensabile: “si va dove c’è lavoro”. Oggi, non più.
La generazione z: e se avesse ragione?
Quando la si vuole buttare in caciara si finisce con il classico “ma sono i giovani che non hanno più voglia di lavorare”, “ai miei tempi si impararva il mestiere gratis”, “senza il duro lavoro non si ottiene niente”, “si deve sempre iniziare con la gavetta”. Non sono nqui per smentire o per confermare, ma da buon ingegnere nonchè appassionata di bias per insinuare io dubbio: e se ciò a cui siamo abituati non fosse la cosa giusta? Se il lavoro non dovesse essre considerato per forza una sofferenza, o un equo scambio del nostro tempo in cambio di denaro? Se esistesse un modo migliore per mettere a disposizione il nostro tempo che una semplice correlazione con il denaro?
Lavorare fino al burnout stanca, è deleterio sulla nostra salute, influenza il nostro atteggiamento verso chi abbiamo accanto impattando in maniera determinante sulla loro serenità. Perdere ore per andare in ufficio ogni giorno non è necessario così come tutta una vita in smart work tra le mura di casa non è la soluzione. Senza contare quei lavori che, per consentire la nostra spesa giornaliera e sopravvivenza, lo smartwork non sanno nemmeno cosa sia, vedi un medico o un macellaio.
Il report di microsoft sulla great resignation
Di studi sulla great resignation ne sono stati fatti molti, e uno particolarmente corposo e interessante è quello di Microsoft che ha coinvolto più di 30mila persone di 31 paesi occidentali.
I risultati sono stati chiari: 4 persone su dieci si sono dichiarate pronto a lasciare il lavoro che ha in cerca di un lavoro che gli consenta un miglior bilancio lavoro-vita personale.
Un fattore determinante è la possibilità di lavorare, almeno in parte, da remoto: 3 persone su 4 si dichiarano a favore, e il segnale sembra esser stato raccolto dalle aziende che in più del 60% dei casi sta aggiornandop le politiche relative allo smartwork o al lavoro da remoto.
Quest’ultimo dato ha una chiave di lettura non banale perchè si scontra con un’ altro dato importante: 3 manager su 4 si sentono impotenti nel soddisfare le richieste dei proprio lavoratori, in particolare riguardo le richieste di lavoro da remoto o ibrido, e più della metà dei manager ritiene che la leadership nopn sia realmente in contatto con i lavoratori.
Come dire: i risultati ottenuti sono spesso frutto di una negoziazione necessaria per evitare perdite, piuttosto che per venire realmente incontro alle problematiche degli impiegati.
Questo è solo l’inizio dell’analisi: i risultati chiave di questo report si possono riassumere in cinque tendenze urgenti che i leader aziendali devono conoscere.
Le 5 tendenze urgenti che i leader aziendali devono conoscere
Le 5 tendenze urgenti che i leader aziendali devono conoscere emerse nel report 2022 di Microsoft:
- I dipendenti hanno una nuova equazione del concetto di “quanto vale la pena questo lavoro”
- I manager si sentono incastrati tra la leadership e le aspettative dei dipendenti.
- I leader devono fare in modo che l’ufficio valga il pendolarismo.
- Lavoro flessibile non deve significare “sempre attivo”.
- La ricostruzione del capitale sociale deve essere affrontata in amniera diversa in un mondoche va verso il lavoro ibrido.
Pensi che questi punti (approfondimenti nel link) siano confermati anche nella situazione che stai vivendo? Scrivicelo nei commenti!