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Principio di reciprocità: quanto ci frega il dovere morale di contraccambiare
“Tanti auguri di Buon Natale!”
“Grazie, anche a te e famiglia”
Noi crediamo che siano due frasi banali.
POVERI ILLUSI!
Contraccambiare gli auguri è invece l’inizio della fine.
E’ la raccolta della mela proibita, l’apertura del vaso di Pandora, il fatal error, insomma: abbiamo abboccato in pieno al principio di reciprocità.
Perchè è così, si contraccambia per gentilezza: si tratta di comportamenti sociali insomma, e quando ci viene fatto un saluto, un augurio o un complimento che sia, siamo portati naturalmente a ricambiare.
Il problema è quando dal saluto si passa al regalo. Dal regalo si passa all’impegno personale. E dall’impegno personale si passa al senso di colpa.
Che voglio dire? Ve lo spiego subito.
Cosa si intende per principio di reciprocità?
Il principio di reciprocità è la necessità di ricambiare quando ci viene fatto un regalo.
E’ un bias cognitivo legato al nostro essere degli “animali sociali”: se una persona ci fa un dono ci sentiamo automaticamente in debito.
Questo meccanismo è stato studiato da molti psicologi sociali e portato alla ribalta da uno dei più autorevoli in materia, Robert Cialdini. Ne fa un’esaustiva quanto tremenda trattazione tratta ne “Le armi della persuasione“, libro che vi consiglio assolutamente di leggere durante queste vacanze casalinghe.
Che cos’è il contraccambio
Il contraccambio è un meccanismo che si fonda su due principi:
- il primo, che non ci piace sentirci in debito.
- Il secondo che il mancato ricambio è visto come un comportamento socialmente negativo
Questi due meccanismi mentali ci spingono a ricambiare quando ci viene fatto un dono anche se non vorremmo farlo.
Basta pensare a quando ci fermano per strada facendoci un dono come un santino o un braccialetto porta fortuna, oppure al fiore, tecnica comunissima usata dagli Hare Krishna negli aeroporti statunitensi. Noi non vogliamo quell’oggetto e, colti di sorpresa, cerchiamo di darlo indietro: ma se non ci riusciamo ci sentiamo (controvoglia) in dovere di ricambiare con qualche moneta.
Eppure nella teoria si tratta di un dono: potremmo accettarlo, ringraziare e andar via. Ma sfido a trovare qualcuno che lo faccia!
E’ più forte di noi, loro lo sanno e sfruttano questa umana debolezza.
Questa “trovata” riesce soprattutto se viene impacchettata con queste caratteristiche: essere
- inaspettata
- significativa, carica di significato
- personalizzata, adattata su misura per noi
- sopattutto: ragionevole
Queste “trappole” potrebbero sembrare relativamente rare, ma sono più comuni di quanto crediamo.
Basti pensare a quando usciamo dal negozio con un acquisto che non volevamo fare dopo che la commessa ci ha aiutato per mezz’ora: dopo che ci ha dedicato il suo tempo “sembra brutto” non acquistare almeno un foulard.
Oppure, ancor peggio, quando restiamo incastrati in relazioni troppo a lungo perché “lui/lei fa così tanto per me“ e restare ci sembra il minimo per contraccambiare.
Non è difficile poi individuare un’altra categoria di persone particolarmente scaltra e in grado di sfruttare abilmente questa gabbia mentale per avere la meglio sulle nostre debolezze.
Il principio di reciprocita’: ecco chi lo applica al meglio
Vediamo adesso come ci lasciamo puntualmente ingannare dal principio di reciprocità quando ci viene attuato dai geni del marketing più potenti al mondo: i bambini.
I bambini sono degli esseri diabolici. Hanno la negoziazione nel sangue, non mollano mai davanti a un rifiuto e applicano il principio di reciprocità con un’abilità da manuale.
Anche Cialdini ne è convinto, soprattutto dopo esserci cascato in pieno come riporta nel libro. Non ricordo con esattezza gli oggetti protagonisti dell’aneddoto, ma ne farò uno analogo.
Durante una passeggiata il nostro Robert si trova a passare davanti al tipico banchetto degli scout in cui il solerte e sorridente bambino gli propone l’acquisto di una torta a ben 20 $.
Ora, va bene la beneficenza, ma 20 $ a Robert sembrano un po’ troppi, una somma che “è lecito” rifiutare.
Ma è qui che il genio alto un metro e un Kinder Bueno fa la sua giocata magistrale:
“beh, se proprio non vuole comprare la torta, compri almeno delle caramelle. Costano solo 2 $“.
Cialdini le caramelle neanche le mangia, ma seppur malvolentieri “riconosce” che 2 $ rispetto a 25 $ sono una somma ragionevole e acconsente a comprare le caramelle,soprattutto che per non fare la figura del totale taccagno con lo scout.
Ma cosa è successo?
Concessione reciproca e anchoring: i due bias del contraccambio
Il diabolico scout ha attuato una astuta variante del principio di reciprocità: la reciprocity concession, “concessione reciproca“.
A fronte di un nostro rifiuto, se ci viene fatta in seguito una richiesta “meno impegnativa” siamo portati a fare una concessione e accordare alla richiesta.
Nel caso di Cialdini lo scout ha fatto prima una proposta estremamente (e volutamente) cara, che Robert si è sentito in potere di rifiutare senza sensi di colpa perchè non era ragionevole (25 $ per una torta).
In questo modo però il bambino-scout-demone ha fatto una doppia giocata magistrale:
- ha gettato un’ancora mentale (ricordate il bias dell’effetto ancora?) rispetto al quale la seconda proposta (2$) sarebbe sembrata più ragionevole e bassa della prima
- ha fatto una seconda proposta sapendo che per la reciprocity concession una persona, dopo un rifiuto, tende ad acconsentire ad una seconda richiesta purchè essa sia meno impegnativa della prima
Le caramelle risultavano così “poco care” che Cialdini si è sentito di accondiscendere meno malvolentieri, acquistando delle caramelle anche se non le mangia.
Principio di reciprocità e psicologia
Ora parliamoci chiaro: analizzata dal di fuori e con la possibilità di rifletterci io stessa mi son detta
“vabè, ma alla fine è una tecnica di negoziazione: faccio una richiesta iniziale assurdamente fuori mercato seguita da una seconda proposta ridimensionata (il mio reale fine)“.
E questo è vero: il problema però è che un conto è se accade quando siamo estremamente vigili e con una soglia di attenzione elevata, come al lavoro o in un esame. Un altro è quando veniamo presi alla sprovvista in una situazione di normalità, di comfort, con le difese abbassate.
Come per molte altri bias o tecniche di marketing e negoziazione che subiamo tutti i giorni, il modo per non caderne vittime c’è.
Ed è così che, nonostante letture su letture di Cialdini, Dan Ariely e maestri del marketing, alla fine l’ovetto Kinder a nostro figlio o nipote, dopo avergli negato patatine coca cola e Pringles, quando siamo alla cassa del supermercato, finiamo per comprarglielo lo stesso.
Imparare a non cedere al contraccambio
La prima cosa da fare è farci caso: iniziamo ad accorgerci di tutte le volta che facciamo o compriamo qualcosa non per un nostro desiderio, ma perchè ci sentiamo in debito. Renderci conto di tutte le volte che agiamo non di nostra volontà ci darà una motivazione in più a resistere la volta successiva.
Quando invece ci troviamo già invischiati in una situazione che predispone il contraccambio il modo migliore per uscirne è prendere tempo.
In questa maniera smorziamo l’effetto che ha su di noi l’interlocutore e ci diamo noi il tempo necessario a riflettere con calma, senza condizionamenti.
E questa tecnica mia madre, che alle mie richieste di acquisto da piccola rispondeva sempre “si si, domani”, evidentemente la conosce benissimo!
Se vuoi rimanere stupefatto di come le armi della persuasione e i bias influenzino i nostri comportamenti e la nostra vita ti consiglio di leggere questi due libri che trovi su Amazon:
Le armi della persuasione di Robert Cialdini
Predictably Irrational di Dan Ariely
Se vuoi invece scoprire una personalità meravigliosa ti consiglio questo articolo su Dan Ariely e i bias: